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(Miniere di Iglesiente-Marganai)
Miniera di Malacalzetta

Miniera di
Iglesiente-Marganai

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  16. Gerrei - Parteolla
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  18. Silius
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  21. Sassarese
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L'antica miniera di Malacalzetta venne coltivata già in epoca pisana. Nel '700 il Belly (sovrintendente delle miniere sarde dal 1762 al 1791) vi aveva individuato un centinaio di pozzi scavati nell'antichità, e li descrive come molto ravvicinati tra loro e profondi oltre 80 m. Questi dati vennero confermati nel XIX secolo, quando ricominciarono i lavori e si trovarono grandi vuoti di miniera creati in epoca pisana.

La storia moderna della miniera di Malacalzetta comincia con la concessione del 3 settembre 1872 accordata all'ingegnere Eugenio Marchese, quale procuratore generale della Società Anonima di Montesanto. La concessione venne rilasciata per i minerali di piombo argentifero e comprendeva 332 ettari nei territori di Fluminimaggiore e Iglesias.

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Nei primi anni di attività dovettero essere affrontati numerosi problemi, tra i quali quello relativo alle abbondanti infiltrazioni d'acqua, che pareva il pił penalizzante. A questo si pose parzialmente rimedio scavando delle gallerie di ribasso, e utilizzando come cisterne i pozzi e i grandi vuoti lasciati dai coltivatori antichi. In pochi anni si scavarono diverse centinaia di metri di gallerie. Il filone mineralizzato in galena, dalla quale si potevano ricavare fino a 100 grammi di argento per ogni quintale, venne individuato per oltre 700 metri. Tuttavia, le spese superavano costantemente e di gran lunga gli introiti derivanti dalla vendita dei due minerali.

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A metà del 1880 Malacalzetta passò alla Società Anonima delle Miniere di Lanusei, e in seguito alla The United Mines Company.

Grazie alla nuova gestione e ai nuovi capitali iniziarono i lavori per la costruzione di una piccola laveria meccanica, che dal 1891 sostituì i vecchi e tradizionali crivelli a mano.

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Attorno all'edificio vennero realizzate altre costruzioni che costituirono il primo nucleo del villaggio, gli uffici, le abitazioni degli impiegati e del direttore. Sulle pendici del Monte Cuccheddu un centinaio di umili capanne in frasche, tutte circondate da un piccolo orto, ospitavano circa duecento minatori con le loro famiglie.

Ma la vita della miniera fu sempre caratterizzata da gestioni limitate e mediocri, anche a causa della difficile situazione giacimentologica. Il suo passaggio alla Società Pertusola, nei primi anni del Novecento, non significò esattamente il rilancio dei lavori nei suoi cantieri, piuttosto il potenziamento dei suoi impianti di servizio e la sua stretta integrazione con la vicina miniera di Arenas. Nel 1907, infatti, la società inglese costruì una ferrovia per il trasporto del minerale estratto ad Arenas fino alla laveria di Malacalzetta. Grazie all'incredibile sviluppo dei lavori a cielo aperto nella prima miniera e alle economie assicurate dal trasporto su binari, le due concessioni divennero quasi un unico corpo, dove si estraevano e si trattavano i tre quarti della produzione mineraria della zona. Al contrario, nel sottosuolo di Malacalzetta nulla mutava: restava la consapevolezza di poter disporre di un buon giacimento, ma i costi per una generale riorganizzazione interna risultavano sempre elevati, e quindi poco convenienti.

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Nella metà degli anni Trenta del secolo scorso, la Pertusola cominciò lo sfruttamento intensivo dei cantieri di Monte Cuccheddu e Nina, e installò un piccolo ma avanzato impianto di flottazione, destinato a trattare tutta la produzione della miniera e una parte di quella di Arenas.

Gli anni Cinquanta del secolo scorso videro un rilancio dei lavori, soprattutto grazie allo sfruttamento del minerale depositato nelle discariche negli anni precedenti. Il minerale veniva inviato e trattato nel grande impianto di Genna Carru, presso Arenas.

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Il 13 novembre del 1969 la miniera fu ceduta dalla multinazionale Pertusola alla societą regionale Piombo Zincifera Sarda. In seguito passņ alla Samin (Sarda Miniere), per terminare con la SIM (Societą Italiana Miniere) che, nel 1986, chiudeva definitivamente i pozzi e le gallerie.


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