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(Miniere di Iglesias-Gonnesa)
Miniera di San Giovanni

Miniera di
Iglesias-Gonnesa

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  9. Arburese (Arbus)
  10. Iglesias-Gonnesa
  11. Iglesias-Marganai (Domusnovas)
  12. Monte Arci (Pau)
  13. Sulcis (alto e basso)
  14. Salto di Gessa (Buggerru)
  15. Barbagia - Alto Sarcidano
  16. Gerrei - Parteolla
  17. Monte Albo (Lula)
  18. Silius
  19. Ogliastra
  20. Orani - Nuorese
  21. Sassarese
  22. La Maddalena - Gallura
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La Miniera di San Giovanni si trova a circa 4 km da Iglesias, un poco a Sud della strada Iglesias-Gonnesa, sul versante meridionale della valle del Rio San Giorgio. Per accedere alla miniera occorre arrivare alla frazione di Bindua, e quindi salire per la strada che porta all'ingresso dei cantieri minerari.

La Storia

Le ricche mineralizzazioni di questa miniera erano già note dai romani che scavarono numerosi pozzi alla ricerca della Galena argentifera. I primi seri tentativi di coltivazione dell'area risalgono al 1554 ad opera del Genovese Antonio Massimo Marti.

Nel 1859 l'Ing. Keller ottenne il permesso di ricerca, ma la concessione vera e propria passò nel 1867 alla Gonnesa Mining Company Limited che iniziò la coltivazione di una grossa sacca di calamina mista a galena argentifera, denominata Santa Barbara.

Nel 1857 l'Ing Keller assieme al Sig. Angelo Nobilioni avevano terminato la costruzione della laveria meccanica "Keller" o anche detta di Funtana Coperta, baricentrica rispetto alle concessioni di Monteponi, San Giovanni e Monte Agruxiau; la laveria di Funtana Coperta, può essere considerata la prima semimeccanica installata in Sardegna e utilizzando la forza motrice del Rio Monteponi poteva lavorare solo nel periodo invernale. Tale laveria funzionò fino al 1867, quando furono costruite le laverie Nicolay e Villamarina utilizzando i crivelli di Funtana Coperta.

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Nel 1904 la Pertusola subentrata nella gestione della miniera fece costruire una moderna laveria (chiamata) Idina, una centrale elettrica ed una teleferica che partiva dai cantieri attivi Normann e Henege. Nel 1918 venne scoperta un'altra grande massa mineralizzata che prese il nome di Idina, in onore della moglie del proprietario della Pertusola, Lord Thomas Alnutt Brassey. Contemporaneamente si sviluppava il villaggio della miniera, il quale ospitava a valle attorno al piazzale Taylor le maestranze, e a monte dirigenti e impiegati che risiedevano nel Villaggio Normann.

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Nel Villaggio Normann erano presenti diversi edifici interessanti dal punto di vista architettonico, i quali attendono ancora una valorizzazione (2022). Tra i più importanti citiamo la Villa Stefani sede della famiglia del direttore, la Villa Pintus, lo Spaccio-Circolo Impiegati e la chiesa di San Giovanni posta all'ingresso del villaggio ora ridotta a rudere, pensata su 2 piani (l'oratorio al piano terra e la sagrestia al piano primo).

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L'interruzione della coltivazione si ebbe solo durante i due conflitti bellici, ma la ripresa si ebbe sotto la spinta di nuovi investimenti ed ammodernamenti.

Nel 1952 all'interno di un cantiere sotterraneo venne scoperta casualmente, durante lo scavo di un fornello la grotta di Santa Barbara: Si tratta di un eccezionale salone sotterraneo di forma ellittica le cui superfici sono totalmente ricoperte da cristalli tabulari di barite bruna, aragonite e calcite. La grotta non aveva sbocco all'esterno e si presentava quindi come un grande Geode.

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Nel 1967 i beni minerari di San Giovanni passarono alla Società Piombo Zincifera Sarda.

Negli anni 80 la miniera venne affidata prima alla SAMIM e poi alla SIM fino allo smantellamento degli impianti e alla chiusura della laveria Idina, che avvenne nel 1985.

Dopo anni di abbandono la miniera di San Giovanni con la bellissima Grotta di Santa Barbara sono stati in parte valorizzati e resi fruibili; ora (2020) sono gestiti dalla Società Iglesias Servizi Srl che si occupa della vendita dei biglietti online al link:

I giacimenti della Miniera di San Giovanni

Le coltivazioni minerarie si collocavano entro le rocce carbonatiche cambriche (complesso del metallifero) o nelle zone di contatto tra queste e gli scisti. Lo sfruttamento della miniera si articolava in quattro cantieri distinti denominati "Contatto", "Blendosi", "Ossidati" e "Ricchi in Argento".

1.Contatto

Ubicato all'estremità Nord della Miniera, era costituito da due corpi mineralizzati: la "Vena Principale di Contatto" e la "Vena di tetto". La mineralizzazione consisteva in masse irregolari, filoncelli e vene di galena con poca blenda inclusi nella dolomia.

2.Blendosi

Si trattava di mineralizzazioni quasi esclusivamente zincifere, di forma lenticolare, nella parte centrale del calcare ceroide, sovrapposte l'una all'altra, denominate dall'alto verso il basso Massa Pozzo n. 3, n. 2 e n. 1 e la massa Idina la più importante e regolare della miniera. La blenda, di colore chiaro, si presenta finemente diffusa nel calcare in grani di dimensioni da 5 a 50 micron (micron = 1milionesimo di metro)

3.Gli Ossidati

Queste mineralizzazioni costituiscono la parte alta degli ammassi a solfuri. Gli ammassi, si presentano in forma di fasci di vene parallele, ubicati in determinati sistemi di fratture, separati da intercalari calcarei o dolomitici sterili. La mineralizzazione è costituita principalmente da smithsonite e da galena con cerussite, limonite e, raramente, emimorfite.>

4.I Ricchi di Argento

Queste mineralizzazioni a galena con alto tenore in argento sono molto diffuse sulla superficie delle concessioni minerarie di San Giovanni, come dimostra l'enorme numero di pozzetti e scavi praticati, per la loro coltivazione, alcuni dei quali di epoca romana. La forma prevalente è quella di masse colonnari irregolari in cui sono presenti quarzo, baritina, calcite e galena.Tipici esempi di queste mineralizzazioni sono Grotta Grande, Colonna 11, Massa Peloggio.

I concentrati di galena al 70% in piombo avevano tenori in argento di circa 2 Kg per tonnellata, fino ad un massimo di 5-6 Kg per tonn. Il principale minerale portatore d'argento era la tetraedrite (Solfuro di Rame e Antimonio).

I cantieri minerari e i metodi di coltivazione

Ai cantieri di coltivazione si accedeva mediante ribassi e mediante due pozzi interni denominati Pozzo N.E. e Pozzo Carolina: il primo destinato a servire i cantieri ossidati, Blendosi e Ricchi in Argento, il secondo il giacimento del Contatto. I metodi di coltivazione adottati erano principalmente due: per sottolivelli e per trance montanti in direzione con ripiena

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Impianto di arricchimento

La struttura della Laveria Idina durante la gestione della Società Piombo Zincifera Sarda (anni '70) era costituita da due impianti: il primo di frantumazione e preconcentrazione e il secondo di macinazione e flottazione, per un totale di quattro sezioni.

La sezione di frantumazione lavorava ininterrottamente per 24 ore al giorno, fornendo un prodotto finale inferiore a 12 mm, utilizzando due frantoi Symons.

La sezione mezzi densi utilizzava 3 vagli (uno di preparazione, uno di lavaggio e uno di drenaggio), 1 separatore a tamburo ed un frantoio.

Il circuito del mezzo denso (ferrosilicio) constava di 1 vasca per il mezzo denso, 2 separatori magnetici, 1 classificatore a coclea per l'addensamento del ferrosilicio recuperato, 1 bobina demagnetizzatrice. Per il recupero dei fini di lavaggio era installato un classificatore a rastrelli il cui sfiorato veniva controllato da un ciclone Krebs D4B.

Gli impianti di macinazione e flottazione per 4 sezioni:

Nel Circuito di macinazione venivano utilizzati molini Hardinge e Nyhammars che operavano in circuito chiuso con classificatori a rastrelli.

I Circuiti di flottazione del piombo, della blenda, della barite utilizzavano celle Denver 18 s.p. ed Agitair 750 e 1000.

Dalle concessioni della miniera di San Giovanni si estraevano fino a 350.000 tonn./anno di grezzo. Da tali grezzi, trattati negli impianti di arricchimento, venivano prodotti i seguenti concentrati: blenda, galena, calamina e barite.

Altre concessioni legate alla miniera di San Giovanni

San Giovanneddu

M.Uda-M.Cani

M.Onixeddu

M.Oi-Seddas Ghilleri


Bibliografia

Società di Monteponi "Centenario della Società di Monteponi", 1850 - 1950.

MEZZOLANI SANDRO e SIMONCINI ANDREA "Sardegna da Salvare. Storia, Paesaggi, Architetture delle Miniere" - VOL XIII. Nuoro, Ed.Archivio Fotografico Sardo, 2007.

SELLA QUINTINO "Relazione sulle condizioni dell'industria mineraria in Sardegna" 1871.

Piombo Zincifera Sarda "Miniere di Arenas, Buggerru, San Giovanni, Su Zurfuru" -Iglesias, Rivista.

Carta Geologica 1:25.000, Foglio 233 Iglesias, 1938.

Carta Geologica della Sardegna 1:200.000, 1997

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